“the perfection of imperfection”
Available in 2 Versions:
Originals on 400gr cardboard and watercolors
29×20.5cm / 11×8″ – 2023
Gicleé on Canvas
size is 37×28.5cm / 14,5×11,2″ approx.
Alon’s concrete harmonies
In the heart of Venice’s Ghetto Vecchio, surrounded by prestigious signs of the past, the artist Alon Baker has fun. He is inventing, to quote Vasarely, “a new geometric, polychrome and sunny city”: programmed art; kinetic, multidimensional art: colorful cubes perched on oblique surfaces; flat, rigorously juxtaposed areas of contrasting colors.
The original idea, Alon appears to affirm, is only potential; the third dimension, when expressed, represents the pure quantitative increase of the image. In Baker’s works, every pure composition is created with color-forms, or units in contradictory perspectives which, canceling each other out, reintegrate the surface plane. Thus, the terms painting and sculpture become anachronistic. It is no longer a question of distinct manifestations of a creative sensibility, but of the development of a single plastic sensibility in diverse spaces.
For Alon Baker – and this is a quality he shares with the famous Yaacov Agam, despite some significant differences in intent – the integration of kinetic plasticity in painting is closely correlated with the idea of time, which for Alon is irreversible but subject to playful unexpected events; for Agam, simultaneous and uncontrollable. In Baker’s work, musical progression prevails, as if one were faced with a composition whose parts are well-tuned: paintings susceptible to transformation, in which the precarious plastic element can change perspective; contrapuntal paintings with a simple structure, in which two or three thematic ideas alternate; or polyphonic paintings, in which the surface is composed of parallel triangular reliefs, which structure a rhythmic beat. While the works reveal some specific themes to the viewer when observed side-on, a frontal view permits you to grasp their global orchestration. We witness a visual synthesis, in which the material itself becomes a conductor of forces.
Alon’s constructivism could, for good reason, be called structuralism: the dialectical relationship between the concept and its phenomenalization constitutes the nucleus of all the artist’s technical and operational ideas. A direct lineage with Mondrian: a passage from the theoretical level to the phenomenal, or (and the procedure is identical) from quantity to quality of vision. It is not a simple projection, a divertissement. It implies logos. These works tell us that it is possible to give the universe of forms mathematical order, but it is not possible to reduce intervention to pure geometric morphology.
In Alon’s art, relationships are everything; seriality as it unfolds does not constitute an accumulation of identical units, nor a simple arithmetic progression, rather we could define it as the recovery of qualitative variants in the psychological positivity or negativity of apparent repetition. Baker is nourished by the assumptions of the avant-garde and from the roots of Gropius, Kandinsky and Klee; he interprets pure abstraction without neglecting Malevic’s constructive spirit. His is a constructive tension that affects every minute of artistic planning: a logical-rational trust that sets in motion a stupendous cognitive utopia.
What the artist is aiming for is concrete harmony with the world, which makes it possible to overcome its dysfunctions and the violent state of intersubjective relationships. Alon’s art as a utopia is not a closed project in itself but requires constant verification of the methods chosen for its communication. It is a specific desire for coherence, a clear commitment to the values of knowledge and free dialectic.
In this context, beauty – a concept often questioned in contemporary debate – is a function of the project, but also vice versa. If we think of art as a structure, the practice of invention acquires even greater importance: it is a discontinuous field, playful but very serious (in the sense that Bruno Munari gave it). For Alon, the concept of novelty does not represent an inventive display or an end in itself, but an indispensable need, interpenetrated with the philosophical basis of his work, that of a finite infinity of lucid consonances. From what comes what, from word to word, from hope, future.
Francesca Brandes
Le concrete armonie di Alon
Nel cuore del Ghetto Vecchio di Venezia, tra prestigiosi segni del passato, l’artista Alon Baker si diverte. Inventa, per dirla con Vasarely «una nuova città geometrica, policroma e solare»: arte programmata, arte cinetica, multidimensionale; cubi coloratissimi, in bilico su superfici oblique; à plat di tinte a contrasto, in rigorosa giustapposizione.
L’idea originale, sembra affermare Alon, non è che una cosa in potenza; la terza dimensione, quando è espressa, è un puro aumento quantitativo dell’immagine. Ogni composizione pura, nei lavori di Baker, è creata con forme-colore, o unità in prospettive contraddittorie che, annullandosi, reintegrano il piano di superficie. Allora, pittura e scultura diventano termini anacronistici. Non si tratta più di manifestazioni distinte di una sensibilità creatrice, ma dello sviluppo di un’unica sensibilità plastica in spazi differenti.
Per Alon Baker – è una qualità che condivide con il celebre Yaacov Agam, nonostante alcune divergenze significative d’intenti – l’integrazione della plastica cinetica nella pittura è in stretta correlazione con la nozione di tempo: irreversibile, ma soggetto a giocosi imprevisti per Alon; simultaneo ed incontrollabile per Agam. In Baker prevale un andamento musicale dell’opera, come ci si trovasse di fronte ad una composizione ben accordata nelle sue parti: quadri suscettibili di trasformazione, in cui l’elemento plastico – in bilico – è capace di modificare la prospettiva; quadri contrappuntistici, di struttura semplice, in cui due o tre spunti tematici si alternano; oppure quadri polifonici, in cui la superficie è composta da rilievi triangolari paralleli, che strutturano una misura ritmica. Se osservate lateralmente, le opere rivelano al fruitore alcune tematiche specifiche; nella visione frontale, consentono di cogliere l’orchestrazione globale. Assistiamo ad una sintesi visuale, in cui il materiale stesso diventa conduttore di forze.
Il costruttivismo di Alon potrebbe, per buone ragioni, essere chiamato strutturalismo: la relazione dialettica tra il concetto e la sua fenomenizzazione, costituisce il nucleo di tutto il pensiero tecnico ed operativo di questo artista. Una discendenza diretta con Mondrian: un passaggio dal piano teoretico a quello dei fenomeni, oppure (ma il procedimento è identico) dalla quantità alla qualità della visione. Non si tratta di una semplice proiezione, di un divertissement. Implica logos. È possibile, raccontano questi lavori, dare all’universo delle forme un ordine matematico, ma non è possibile ridurre l’intervento a pura morfologia geometrica.
Nell’arte di Alon, tutto è relazione; nel suo procedere, la serialità non costituisce un accumulo di identiche unità, né una semplice progressione aritmetica: piuttosto, potremmo definirla un recupero di varianti qualitative nella positività o negatività psicologica di un’apparente ripetizione. Baker trae nutrimento dai presupposti dell’avanguardia, dalla radice di Gropius, di Kandinskij e Klee; interpreta l’astrazione pura, senza trascurare lo spirito costruttivo di Malevic. La sua è una tensione costruttiva che coinvolge ogni momento della progettazione artistica: una fiducia logico-razionale che mette in moto una stupenda utopia conoscitiva.
Ciò che ricerca l’artista è una concreta armonia con il mondo, che consenta di superare le sue disfunzioni e lo stato violento dei rapporti intersoggettivi. L’arte come utopia di Alon non è un progetto chiuso in se stesso, ma prevede una costante verifica dei metodi scelti per la sua comunicazione. È una precisa volontà di coerenza, un impegno limpido verso i valori della conoscenza e della libera dialettica.
In questo contesto, la bellezza – concetto variamente messo in discussione nel dibattito contemporaneo – è funzione del progetto, ma anche viceversa. Se pensiamo all’arte come ad una struttura, la pratica dell’invenzione acquista ancora più importanza: è un campo discontinuo, giocoso ma serissimo, nell’accezione che ne dava Bruno Munari: il concetto di novità non rappresenta per Alon un’esibizione inventiva fine a se stessa, ma un’esigenza irrinunciabile, compenetrata con la base filosofica del suo operare, quella di un infinito finito di lucide consonanze. Da cosa nasce cosa, da parola parola, da speranza, futuro.
Francesca Brandes